La targa di un’automobile, l’unica mai avuta da un giovane, ancora quasi un ragazzo, ucciso mentre faceva il lavoro che aveva scelto, quello del giornalista, ma del quale non era riuscito ancora ad avere il titolo e soprattutto le garanzie, dà il titolo a un libro di Paolo Miggiano, edito l’anno scorso per Alessandro Polidoro Editore.
Di “NA K14314 – Le strade della Méhari di Giancarlo Siani” di è parlato con l’autore a Viterbo, questa domenica, nel contesto di , “Ombre Festival” di Caffeina. Miggiano è un uomo che dichiara di non aver più la fede, ma ad ascoltare le sue parole, le sue risposte all’intervistatrice Laura Ciulli, vicedirettrice di Sosta & Ripresa, a scorrere le pagine di questo libro, a ripercorrere la vicenda tragica di quel ragazzo ucciso dalla Camorra nel 1985, si avverte una fede appassionata: nella verità, nella giustizia, quella fede che se autentica trasforma in missione la ricerca tanto del poliziotto quanto del giornalista.
Si accalora, Miggiano, e accalora l’uditorio, ben oltre di quanto faccia il clima torrido. E né le “Ombre” del contenitore mediatico, né le ombre delle vicende investigative e giudiziarie, riescono a mitigare questo calore fatto di passione civile. Il libro è da leggere tutto di un fiato, e non parla tanto dell’assassinio di questo entusiasta e “fragile” (così lo definisce l’Autore) apprendista giornalista, quanto dei torbidi ed inquietanti percorsi successivi.
Il filo conduttore di questo libro-inchiesta è l’automobile Méhari, la prima ed ultima auto di Siani che ricompare miracolosamente (o per caso, come preferisce l’Autore), testimone muta e reliquia della vittima. Un thriller per l’estate se non fosse per la drammaticità dei fatti.
Laura Ciulli si fa aiutare ad investigare il caso da vari operatori del corpo di Polizia che ha chiamato sul palco: il commissario Giulio Cristofori (Ufficio Prevenzione Generale e Soccorso Pubblico della Questura di Viterbo), il Ccmmissario Claudio Patara, in rappresentanza del Siulp ( Sindacato Italiano Lavoratori Polizia di Stato) che è in partnership di “Ombre Festival”, e il vicepresidente nazionale dell’Anps (Associazione nazionale Polizia di Stato) Donato Fersini.
Le idee forti di questo viaggio della Méhari, che l’Autore lascia all’uditorio ed ai lettori sono: una vera lotta alla criminalità organizzata (Camorra, Mafia, ‘Ndrangheta, ecc.), libertà di stampa (contro le querele temerarie, con richieste pecunarie astronomiche), una legge che consideri sullo stesso piano tutte le vittime di reato sia malavitoso che non).
La galleria fotografica è a cura di Chiara Politini
Editore e Direttore Editoriale
Mario Mancini, nato in Roma nel 1943, dopo la laurea in scienze geologiche, con tesi in geofisica, nel 1967 e un anno di insegnamento della matematica in un istituto tecnico industriale romano, svolge per un quinquennio la sua professione di geofisico e sismologo prevalentemente all’estero, in particolare in Papua Nuova Guinea presso il Rabaul Central Volcanological Observatory e in Australia nella sezione aviotrasportata a Canberra, in entrambi i casi per la BMR Australia, intervallando le due esperienze con un viaggio di studio in Giappone nell’estate del 1970.
Rientrato in Italia nel 1972, si impiega come geofisico presso la CMP di Roma per la quale lavora per sei anni, con diversi incarichi in Italia e all’estero.
Fin da liceale, nel 1959, aveva conosciuto Tommasa Alfieri e l’Opera Familia Christi da lei fondata. La figura e la spiritualità della Signorina Masa, come i suoi discepoli chiamavano la Alfieri, resteranno per Mancini un fondamentale riferimento per tutta la vita. Laico consacrato nel gruppo maschile dell’opera già dal 1974, nel 1979 fa la scelta di dedicarsi completamente all’Opera e va a vivere nell’eremo di Sant’Antonio alla Palanzana.
Alla morte della fondatrice, nel 2000, l’intero patrimonio dell’Opera passa per testamento all’associazione Vittorio e Tommasina Alfieri, all’uopo voluta dalla stessa Alfieri e della quale Mancini era stato tra i fondatori.
Per accordi associativi, più tardi violati da persone riuscite ad assumere il controllo dell’associazione, Mancini resta all’Eremo, unica persona a risiedervi in permanenza e a occuparsene.
La nuova gestione dell’associazione, decisa a trasformare la Familia Christi da istituzione prettamente laicale e una confraternita sacerdotale anticonciliare, nel 2005 convince Mancini a dimettersi dall’associazione stessa, in cambio della promessa, purtroppo mai ratificata legalmente, di lasciargli l’Eremo.
Fino fino al 2012, questo luogo, sotto la conduzione di Mancini, che sempre nel 2005 ha fondato l’associazione Amici della Familia Christi e ha registrato presso il Tribunale di Viterbo la testata Sosta e Ripresa, anch’essa fondata da Tommasa Alfieri e della quale Mancini è direttore editoriale, svolge un prezioso compito di Centro di spiritualità e di apertura ecumenica e interreligiosa.
Nel 2012 la confraternita appropriatasi del nome di Familia Christi (poi sciolata dalla Santa Sede con riduzione allo stato laicale di tutti i suoi esponenti) in violazione degli accordi presi a suo tempo ottiene dal Tribunale la restituzione dell’Eremo.
Mancini resta a Viterbo e prosegue il suo impegno ecclesiale in vari uffici diocesani e nel comitato regionale per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso.